Tassazione criptovalute in Italia, parla l’esperto

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tassazione criptovalute in Italia

Luca Taglialatela è Dottore Commercialista e tributarista internazionale, laureato in economia aziendale, “master of laws” (ll.m.) presso l’università di Vienna, creatore di blog italiani di successo dedicati ai trasferimenti di residenza fiscale dall’Italia verso l’estero e alla pianificazione fiscale per le pmi.
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Considerato l’interesse in rapida crescita nei confronti delle criptovalute, è diventato ormai urgente trovare le risposte alle tante domande che ognuno di noi italiani appassionati, investitori, trader e crypto gamers, si sta sicuramente facendo relativamente ad un aspetto decisamente bollente legato ad esse: la tassazione.

Come vengono tassate le criptovalute in Italia? Devo dichiarale? Cosa devo fare per evitare di cacciarmi nei guai?

Posso già anticiparvi fin da ora che la legislazione italiana in merito a tante di queste domande ancora non ha trovato un assetto completo – nonostante la rivoluzione che queste valute digitali hanno innescato a livello planetario sia ormai inarrestabile, il mercato italiano è ancora molto acerbo quando si tratta di questo tema, così come c’è ancora tanta confusione a livello europeo. Ciò non toglie che sia importante comprendere come muoversi, che tu sia interessato semplicemente ad accettare criptovalute come sistema di pagamento nel tuo negozio, e ancora di più se desideri investire il tuo denaro.

Per dipingere un quadro quanto più esaustivo a riguardo abbiamo voluto di rivolgerci ad uno dei più importanti esperti in natura fiscale e tax planning: Luca Taglialatela.

In questo articolo vi riportiamo la prima intervista sull’argomento alla quale ne seguiranno certamente altre per ulteriori approfondimenti e per rimanere aggiornati sulle future normative.

criptovalute
Luca Taglialatela

Intervista domanda e risposta

Le criptovalute sono a tutti gli effetti delle “valute”?

Le valute in circolazione come Dollari, Euro e Sterline con cui tutti i giorni si scambiamo beni e servizi, esistono per volontà dei governi e sono regolate per decreto. Spesso ci rivolgiamo ad esse come “monete fiat”, dal latino:

[fì-at] n.m. invar. (non com.) attimo, spazio brevissimo di tempo: in un fiat, all’istante, immediatamente. Etimologia: dalla frase biblica fīat lūx ‘sia fatta la luce’, […]

L’equazione che se ne deriva è quindi: moneta fiat = luce che irradia serenità e speranza di un futuro migliore.

Oggi abbiamo la possibilità per la prima volta di sperimentare un nuovo tipo di “luce”, una nuova moneta con cui scambiare i nostri beni e servizi: i Bitcoin e più in generale le criptovalute.

Il problema in Italia è che il Fisco basa tutti i suoi (s)ragionamenti su di una equazione di base:

Criptovalute = Valuta Virtuale

Questa almeno è la tesi sostenuta in due documenti interpretativi dell’amministrazione finanziaria ormai notissimi alle cronache degli investitori:

  1. la risoluzione della Direz. Centr. AdE 72/E/2016 e
  2. la risposta ad interpello n. 956-39/2018 della Direz. Reg. Lombardia.

Allora come vengono considerate le cripto dal fisco italiano?

Ora, che le “criptovalute” non possono essere assimilate alle valute estere lo capirebbe anche un bambino. Lo definirei un errore etimologico. C’è anche da dire però che probabilmente se le avessimo chiamate “criptoasset” ad esempio, sono sicuro che il fisco avrebbe imposto una patrimoniale sulle stesse. Per cui magari alla fine non è andata così male.

Del resto è così che ragiona un fisco lungimirante, nell’ottica di fare cassa e di farla subito, per ripagare un po’ di interessi sul debito pubblico dilagante nella speranza di ritardare la bancarotta, ma questo è un altro discorso…

Torniamo allora alla tassazione delle cripto, prima che perda la pazienza.

In Italia ha fatto scuola la sentenza del T.A.R. Lazio n. 1077/2020, la quale ha lasciato senz’altro qualche speranza ai piccolissimi investitori. La stessa infatti ha sancito che i guadagni derivanti da attività di trading debbano essere tassati solo nel caso in cui le plusvalenze siano considerate “significative”.

Una plusvalenza deve considerarsi “significativa” se si realizza quando nel wallet è presente una giacenza superiore ai 51.645,69 euro per 7 giorni lavorativi consecutivi.

Quando questa condizione si verifica, il trader è tenuto a compiere le seguenti azioni:

  • calcolare la base imponibile della sua plusvalenza come differenza tra il costo (il prezzo) di acquisto della valuta digitale e il costo (il prezzo) di vendita,
  • evidenziarla nella dichiarazione dei redditi (stimata mediante il metodo noto del LIFO ) assoggettarla a una ritenuta a titolo d’imposta pari al 26%.
     

In che modo, quindi, si possono dichiarare anche le relative perdite? 

(perdite da trading, da hodling e da perdita delle chiavi private)

Una cosiddetta “minusvalenza”, da intendersi come l’opposto di una plusvalenza, si realizza quando il valore del portafoglio di una criptovaluta, considerato un periodo di tempo, ha una differenza negativa.

Ad oggi, chi realizza una minusvalenza in un determinato anno non ha alcun obbligo di dichiarazione dei redditi. E però potrebbe convenire dichiararla ugualmente così da poterla compensate con eventuali plusvalenze realizzate entro i quattro anni successivi.

È bene considerare inoltre che le minus da cripto possono altresì essere compensate con altre plusvalenze derivanti da attività finanziarie diverse dalla compravendita di criptovalute quali ad esempio la vendita di partecipazioni o di derivati.

Cosa succede se l’exchange che utilizzo rilascia alle autorità italiane i tabulati sulle mie operazioni?

Anche per rispondere a questa domanda è necessario sapere che per il Fisco italiano vale le seguente equazione:

Wallet = Conto corrente bancario

Da qui ne discende che le criptovalute, poiché assimilate a valute estere, devono essere indicate nel quadro relativo al monitoraggio fiscale degli investimenti all’estero e delle attività estere di natura finanziaria suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia (Quadro RW) indipendentemente dalle modalità di conservazione (dispositivo elettronico o wallet).

Sono state le istruzioni alla compilazione del quadro RW della dichiarazione dei redditi del periodo d’imposta 2019 (Modello Redditi PF 2020) ad introdurre in via ufficiale tale obbligo per la prima volta.

Ci si interroga, tuttavia, se l’obbligo di compilazione del Quadro RW sussista anche nel caso in cui il detentore delle criptovalute possieda la chiave privata poiché obiettivamente considerare una chiava privata al pari di un conto corrente all’estero direi che è una bella forzatura, ma tant’è. 

Il punto è che se si disattende il monitoraggio fiscale evitando quindi di compilare il quadro RW ci si espone, in caso di accertamento, ad una sanzione che può variare dal 3% al 15% di quanto non dichiarato.

Qualora in un futuro prossimo, anche gli exchange dovessero scambiare informazioni con l’amministrazione finanziaria, il rischio è quello di vedersi applicare le sanzioni di cui sopra per tutti coloro che non abbiano adempiuto alla compilazione dell’RW.

Le criptovalute possono essere ereditate e lasciate in successione?

Direi che il punto è abbastanza pacifico. Si tratta di asset patrimoniali (valute estere per l’Agenzia) in fin dei conti che possono essere oggetto di donazione, è sufficiente un passaggio dal notaio. In molti casi può essere anzi un’ottima mossa.

Un’azienda italiana, che rischi corre ad accettare pagamenti in criptovalute?

Sotto il profilo fiscale, ogni cripto o porzione di essa incassata nell’esercizio della propria attività contribuisce a formare la base imponibile di un singolo periodo di imposta. Tradotto, ciò vuol dire che ogni azienda è libera di farsi pagare come ritiene opportuno, ciononostante quei pagamenti costituiscono ricavi da assoggettare a tassazione.

Quali sono i consigli che daresti agli italiani possessori di cripto (sia di piccoli che di grandi quantitativi)?

L’unico consiglio che mi sento di dare è quello di ottemperare agli obblighi di legge del monitoraggio fiscale. Ovverosia: fate la dichiarazione dei redditi, indicando nel quadro RW i vostri cripto asset. Questo vi sarà utile in ottica di cash out futuro. Nella misura in cui decideste di trasformare le vostre cripto in fiat e poi di accreditare tutto su un conto corrente, la banca vorrà conoscere la provenienza di questi fondi. Una dichiarazione dei redditi sarà di sicuro aiuto in questo senso.

E alle aziende, consigliate di accettarle oppure di attendere che esca una normativa certa?

Il mio consiglio è quello di accettare le cripto come forma di pagamento A mio modesto avviso la “strada” è tracciata. Non farlo potrebbe voler dire rinunciare a una fetta di mercato destinata a crescere. È un’occasione che io non perderei.

Luca, ti ringrazio a nome della redazione e dei nostri lettori per il tuo supporto e ci rivedremo qui presto per ulteriori approfondimenti e suggerimenti.

Sono io che ringrazio te per l’intervista. Quello cripto è un tema caldo e vasto che in assenza di leggi e regolamentazioni certe, necessita di chiarimenti e approfondimenti da parte chi le maneggia tutti i giorni e si confronta con problemi pratici, prima che teorici. Oggi abbiamo parlato di Italia, ma le giurisdizioni là fuori che affrontano il medesimo problema, sono tante e tutte adottano approcci differenti, molte offrono soluzioni a tassazione zero e sono molto più vicine di quanto immaginiate.

A presto e grazie ancora.

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