Crollo crypto nella notte? Bitcoin sotto i 22mila? Perché il mercato scende?

Christian Boscolo
| 3 min read

Bitcoin contro SEC

Ci risiamo. Quando sembrava che il mercato crypto avesse preso l’abbrivio giusto arriva l’ennesima tegola, ancora una volta lanciata dalla SEC. L’ente di controllo americano le prova davvero tutte per mettere i bastoni tra le ruote alle crypto.

Che cosa è successo ieri?


A far scendere Bitcoin sotto i 22mila dollari sono state le notizie di ieri relative all’exchange Kraken sotto indagine della SEC, costretto a pagare una multa da 30 milioni per aver fornito la possibilità di staking ai suoi clienti.

Qual è il problema che ha determinato il crollo?


L’oggetto del contendere è più o meno sempre lo stesso: determinare se le criptovalute sono delle “commodity” (Come Bitcoin) oppure delle “security” o per farla ancora più semplice, sono titoli azionari oppure no?  La SEC cerca in tuti i modi di equipararle ai titoli azionari per spostarle sotto il suo controllo e questa volta ha trovato un nuovo modo per cercare di dimostrarlo.

Nel mirino della SEC è finito infatti lo staking degli investitori privati che, secondo la SEC, soddisfa almeno due dei quattro criteri del test dell’ormai celeberrimo test  di Howie. Il test  ha origine dalla sentenza della Corte Suprema del 1946 nel caso SEC vs. W.J. Howey Co. ed è divenuto il criterio per determinare un contratto di investimento. La corte ha deciso che i quattro criteri per definire un contratto di investimento sono:

  • Deve essere un investimento di denaro.
  • L’investimento deve essere in un’impresa comune.
  • Deve esserci aspettativa di profitto.
  • Il profitto deve derivare dagli sforzi degli altri.

Secondo la SEC, dunque, lo staking presuppone un’aspettativa di profitto che deriva dagli sforzi di altri. Qualcuno potrebbe obiettare che lo staking, oltre a generare un guadagno, è una procedura fondamentale per il meccanismo di funzionamento delle criptovalute POS (proof of stake). Da qui l’idea geniale della SEC di non penalizzare i validatori, ovvero chi mette le proprie crypto in staking per il controllo dei nodi e quindi della chain, bensì gli investitori che, non disponendo delle risorse per validare da soli un nodo, ricorrono agli exchange. Qui sotto la reazione di Brian Amrstrong, CEO di Coinbase.

Che succede ora?


Di certo si tratta di una richiesta pretestuosa. Se si definisce lo staking un’attività volta al controllo della chain e del suo meccanismo di consenso, questa definizione deve estendersi a tutti, non solo ai validatori. Tra l’altro, come sappiamo, gli stessi validatori spesso ricorrono all’aiuto di altri utenti per soddisfare il controllo di un nodo che richiede, oltre a un hardware e una connessione adeguata, anche un quantitativo di crypto non indifferente. Da qui l’idea degli utenti di “aggregarsi” per soddisfare questi requisiti.

Vietare lo staking agli exchange, dove gli utenti comuni fanno più o meno la stessa cosa, sarebbe dunque solo una scusa per aggiungere l’ennesimo divieto e oscurare ancora una volta il settore crypto. Sono infatti bastate solo alcune voci per far cadere Bitcoin al di sotto dei 22mila dollari, con un tonfo che si è riversato su tutte le altre crypto.

Anche in questo caso si tratta ovviamente del FUD di un mercato isterico, anche perché in questo caso Bitcoin non ha nessun colpa e nessun motivo per perdere  valore visto che utlilizza un meccanismo di consenso che non prevede lo staking.

Va inoltre sottolineato che questo eventuale divieto varrebbe solo negli USA, dove la SEC ha giurisdizione. Inoltre, gli utenti potrebbero continuare a mettere in staking i token nella DeFi, la finanza decentralizzata che non ha bisogno degli exchange.

 

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