L’industria cripto contro il G20: una lotta contro le procedure KYC “draconiane”

Sead Fadilpašić
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L’industria delle criptovalute non è soddisfatta della possibilità che il G20, il gruppo dei 19 più grandi paesi del mondo e dell’Unione Europea, imponga procedure più rigorose di know-your-customer (KYC) agli exchange di criptovalute e alle attività correlate. Definendolo "più draconiano di BitLicense [sistema di permessi operativi di New York]", gli esperti del settore ritengono anche che questo sia "indesiderabile dal punto di vista della privacy". (Aggiornamento del 15 maggio con la replica dalla FATF – in grassetto)

Source: iStock/Tutye

La task force intergovernativa per l’azione finanziaria sul riciclaggio di denaro (FATF) ha incontrato i rappresentanti dell’industria delle criptovalute il 6 e 7 maggio di quest’anno a Vienna, con le loro raccomandazione sulla regolamentazione come uno dei temi trattati. La bozza di questa raccomandazione è stata pubblicata a febbraio di quest’anno, ma il G20 aveva già intenzione di accettarla nel dicembre 2018. La notizia è stata pubblicata per la prima volta da Bitcoin Magazine.

Secondo la bozza, tutti i fornitori di servizi di asset virtuali (VASP) dovranno essere in possesso della licenza e dovranno fare un controllo KYC su ogni singola transazione, in entrata o in uscita, che sia superiore a 1.000 EUR o 1.000 USD. Nel caso in cui la transazione in uscita non sia diretta al portafoglio personale di un utente, ma a un fornitore di servizi, tutte le informazioni KYC ottenute dovranno essere condivise dal destinatario fornitore di servizi. Tuttavia, questa parte della bozza non è sicuro che sarà nella versione finale, in quanto dipende dal feedback del settore, come ha affermato il FATF nella sua dichiarazione pubblica.

"Le questioni saranno discusse nella prossima sessione plenaria di giugno 2019, i cui risultati saranno pubblicati sul nostro sito web venerdì 21 giugno.," il FATF ha detto a Cryptonews.com in una email.

Nel frattempo, diversi partecipanti del mondo cripto stanno già respingendo con tutte le forze questa idea, soprannominata "draconiana" da Tuur Demeester, fondatore di Adamant Capital, un hedge fund alfa Bitcoin. Una di queste è la società di analisi di blockchain Chainalysis, che ha pubblicato una lettera che mette in guardia sui limiti tecnici di tale proposta, in quanto i VASP non sono in grado di stabilire a chi appartiene un determinato indirizzo e la possibilità per gli utenti di spostarsi semplicemente verso exchange senza licenza per eludere i problemi.

Un altro problema con questa proposta è la mancanza di considerazione per la privacy degli utenti, secondo il broker Bitcoin olandese Bitonic. Le informazioni KYC non sarebbero conservate dai fornitori di servizi europei, ma sarebbero rese disponibili anche a tutto il resto del mondo, l’aziendamette in guardia: “Riteniamo che non sia auspicabile dal punto di vista della privacy che gli Stati Uniti stiano costringendo l’UE ad approvare un obbligo così allarmante, che non è così rilevante per le società attive nello settore delle valute virtuali".

Anche la società di analisi blockchain Ciphertrace indica che questa regolamentazione conferisca ai VASP il diritto di congelare i fondi. "La capacità di un VASP di vietare una transazione di criptovaluta è alquanto limitata poiché una transazione di criptovaluta in entrata non può essere rifiutata, che sia desiderata o meno. Rispedire i fondi al wallet cripto originario non è una soluzione per rifiutare i fondi, in quanto l’indirizzo di invio potrebbe non essere in grado di ricevere fondi. In tal caso, i fondi potrebbero non essere più recuperabili, il che potrebbe esporre i VASP alla responsabilità e alle richieste di danni da parte dei clienti", spiegano.

Nel frattempo, come riportato in aprile, sembra improbabile che il Giappone rinunci a perseguire la regolamentazione internazionale delle criptovalute, e farà il massimo, dalla sua posizione di presidente del G20 per il 2019, per convincere i governi con il suo punto di vista.