Perché ChatGPT è stato bloccato dal Garante solo in Italia? – Ecco tutta la verità!

Christian Boscolo
| 3 min read

La notizia della chiusura italiana di ChatGPT, il software di intelligenza artificiale, ha ormai fatto il giro del mondo. I motivi sono noti: la mancanza di un’informativa sul trattamento dei dati raccolti da OpenAI, l’assenza di una base giuridica che ne giustifichi la raccolta e la conservazione dei dati, e la mancanza di controlli adeguati per l’accesso da parte dei minori.

E sono tutte richieste legittime, anche al netto dell’impossibilità di utilizzare una delle risorse più interessanti degli ultimi 50 anni.

La raccolta dei dati e delle informazioni sensibili degli utenti deve avere una giustificazione plausibile, così come le modalità di trattamento e conservazione. Anche il problema dell’accesso da parte dei minori è importante, soprattutto in un momento dove non si conoscono appieno i rischi relativi all’utilizzo di un’intelligenza artificiale lungi dall’essere infallibile.

Perché solo in Italia?


Eppure la domanda che sorge spontanea è una sola. Perché solo in Italia? Gli altri Paesi non hanno forse a cuore la loro privacy e la salute dei minori? A parte l’Italia solo Cina, Russia, e Corea del Nord inibiscono il dispositivo di intelligenza artificiale, un elenco non certo lusinghiero per il nostro Belpaese. 

Anche se la notizia ha fatto storcere il naso a molti, quella del Garante potrebbe però essere stata una scelta lungimirante e rivoluzionaria. L’attacco della nostra autorità di controllo non intende boicottare questa nuova tecnologia dirompente, ma verificarne il  modello di business. Una vecchia regola del poker dice che non se entro i primi 10 minuti non capisci chi è il “pollo” significa che il pollo sei tu. Analogamente, nel modo del web, se non capisci perché un prodotto è gratuito, significa che il prodotto sei tu.

Ormai è cosa nota che i principali social network hanno banchettato per anni sui nostri dati personali, costruendo profili completi da rivendere ai colossi dell’e-commerce e del mondo della politica. L’esempio più fulgido è quello che ha coinvolto Facebook nel 2018, quando la società Cambridge Analytica aveva avuto accesso ai dati di 87 milioni di utenti (erano stati coinvolti anche 216mila italiani).

Chi è il Garante della privacy Italiano?

Il Garante per la protezione dei dati personali  è un’autorità amministrativa indipendente istituita dalla cosiddetta legge sulla privacy (legge 31 dicembre 1996, n. 675), poi disciplinata dal Codice in materia di protezione dei dati personali (d.lg. 30 giugno 2003 n. 196), come modificato dal Decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 101. Quest’ultimo ha confermato che il Garante è l’autorità di controllo designata anche ai fini dell’attuazione del Regolamento generale sulla protezione dei dati personali (UE) 2016/679 (art. 51).

Il Garante Italiano è diretto da un collegio di 4 persone elette dai due rami del parlamento (2 dalla camera e 2 dal senato) tra coloro che presentano la propria candidatura nell’ambito di una procedura pubblica di selezione. Una volta nominati , i membri del collegio eleggono un presidente ed un vice presidente. Il direttivo resta in carica per 7 anni ed il suo mandato non è rinnovabile.

Come riporta il sito Openpolis.it, tra le multe inflitte, vale la pena citare alcune sanzioni particolarmente rilevanti:

  • Nel 2014, 1 milione di euro a Google perché le auto del servizio “Street view” non erano sufficientemente riconoscibili.
  • Nel 2017, oltre 11 milioni a 5 società del settore money transfer per uso illecito dei dati personali degli utenti.
  • Nel 2018 quasi 1 milione a Tim per uso illecito dei dati personali di un utente e per un caso di data breach risalente al 2013.
  • Nel 2019, 1 milione a Facebook per il caso Cambridge Analytica.
  • Sempre nel 2019, 50mila euro all’associazione Rousseau per mancanza di adeguate misure per la protezione dei dati personali degli iscritti alla piattaforma.
  • Nel 2020, 27,8 milioni di euro a Tim per telemarketing indesiderato.
  • Sempre nel 2020, complessivi 11,5 milioni per Eni gas e luce per telemarketing indesiderato e attivazione di servizi non richiesti.

Dalle sanzioni irrogate, negli ultimi 5 anni il garante per la privacy ha incassato una media di circa 4,4 milioni di euro all’anno. Dopo aver incassato quasi 5 milioni di euro nel 2014, nei due anni successivi si registra una diminuzione con entrate di circa 3,3 milioni sia nel 2015 che nel 2016. C’è poi una risalita nel 2017 che porta al picco degli oltre 8 milioni incassati nel 2018 (+116% rispetto all’anno precedente).

Conclusioni


Insomma, la scelta del nostro Garante dovrebbe renderci in qualche modo orgogliosi e non è un paradosso. Purtroppo ad oggi la questione del trattamento dei nostri dati personali da parte delle grandi Big Tech è ancora ben lungi dall’essere risolta. Anche perché in ballo ci sono miliardi e i controlli sono sempre più difficili.

Non fatevi però ingannare dalle sanzioni. Un milione di dollari di multa per Facebook e Google è meno di quanto guadagnano in poche ore. Una goccia nell’oceano. Il blocco del nostro Garante rappresenta un precedente importante e che probabilmente verrà imitato da altri Paesi.

Senza voler fermare il progresso, quello sì sarebbe un errore, chiedere maggiori garanzie e regolamenti per i nostri dati è una scelta da difendere. Anche se fa male, anche se ChatGPT ci manca di brutto…

 

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