Silvergate è fallita per aver risparmiato troppo! Non ci sarebbe stato dolo…

Marcello Bonti
| 4 min read

A determinare la crisi di liquidità che sta affrontando Silvergate Bank potrebbe essere stata una cattiva valutazione del rischio nella gestione dell’attivo d’esercizio. A dirlo è un analista di Bloomberg, che in un articolo dettagliato spiega quali sono state le mosse che hanno portato alle difficoltà di oggi.

Nell’ articolo a firma dell’analista Paul J. Davies, la testata economica Bloomberg dà la propria versione di quello che sta succedendo alla prima banca crypto quotata in borsa. Un tempo, leggi appena due anni fa, fiore all’occhiello della nascente economia crypto e blockchain, Silvergate Bank capitanata da Alan Lane sembrava destinata a guidare la rivoluzione della finanza così come la conosciamo oggi. Peccato fosse una bolla.

Nel giro di una manciata d’anni, quella che era un’agenzia di prestiti e mutui è diventata il punto di riferimento per interfacciare i clienti crypto con la finanza tradizionale. Dopo un investimento fortunato, il CEO Lane decide di aggiungere nuovi servizi legati alle criptovalute nel pacchetto della banca. Presto seguiranno la quotazione in borsa e una fortuna strabiliante che porta il titolo a registrare un’impennata dagli iniziali 13$, ai tempi della quotazione pubblica a novembre 2019, fino al massimo storico di 219$, ovviamente, a novembre 2021.

Silvergate, nel frattempo, diventa la banca di riferimento per progetti importanti, sarebbe dovuta diventare partner di Facebook nel lancio, poi cancellato, della stablecoin Diem. E altri grossi player fanno riferimento alla banca per i propri affari, compreso il famigerato SBF con il suo exchange FTX.

Una banca di passaggio


Silvergate potrebbe essere oggetto di studio in futuro per essere stata la prima banca a fallire per aver gestito male i propri risparmi, e non per aver concesso prestiti ai clienti sbagliati.

Questa in breve la tesi di Davies che spiega come l’errore della gestione dei flussi di cassa sia stato il mancato bilanciamento tra la volatilità delle crypto, il loro prodotto principale, e i depositi a lungo termine usati per assicurare i depositi delle plusvalenze.

In un documento pubblico, la banca ha comunicato ufficialmente che potrebbe non essere in grado di continuare la propria attività di mercato. Questo è il genere di comunicato che di solito spinge i clienti a darsela a gambe.

La fortuna della banca era fondata su un servizio molto semplice: SEN, il Silvergate Exchange Network. Il nome accattivante, in pieno stile californiano, non era altro che una comoda interfaccia che permetteva l’immediata conversione crytpo/fiat ed è piaciuta a molti degli operatori del settore.

Il guaio è stato uno solo. I clienti di Silvergate operavano come con un moneytransfer, tipo MoneyGram International o Western Union. I soldi entravano e uscivano con la stessa velocità con cui si muove il trading sul mercato crypto. Quindi incessantemente.

Quasi nessuno dei clienti aveva una reale motivazione ad aprire dei conti deposito e lasciare i propri soldi in banca, come si fa di solito.

Quei pochi che lo hanno fatto, in particolare i clienti istituzionali capaci di movimentare grosse somme,  hanno preso il largo appena il mercato crypto ha iniziato la sua fase calante all’inizio del 2022.

Quel che è peggio è che l’amministrazione della banca era del tutto consapevole del rischio a cui era esposta. Nel report annuale del 2021 si legge:

“I depositi relativi ai fondi dei clienti che operano con valute digitali sono soggetti alla maggiore volatilità possibile.”

In pratica, la banca era ben consapevole che i depositi dei clienti che operavano in criptovaluta sarebbero svaniti insieme al palesarsi del mercato ribassista.

Una pessima gestione dell’attivo


La prima regola che si impara quando si tratta di gestire fondi provenienti da investimenti ad alta volatilità è depositare le plusvalenze in prodotti altamente liquidi. Quindi facili da trasformare in contanti al bisogno. I prodotti più comuni, in questo caso, sono i titoli di stato a breve termine o altri conti deposito non vincolati.

Silvergate invece ha rischiato grosso e depositato le plusvalenze in fondi del tesoro decennali, rendendo di fatto impossibile recuperare gli attivi una volta in crisi di liquidità.

Alla fine del terzo trimestre dell’anno scorso, prima che i depositi dei clienti iniziassero a ridursi rapidamente, leggi prima del crac FTX, solo l’11% dell’attivo liquido era costituito da contanti presso la Fed e altre banche.

Tutto il resto dell’attivo di Silvergate era costituito da investimenti di vario tipo e a lungo termine. Di questi, solo l’11% era costituito da titoli del Tesoro. Il resto, in gran parte, era costituito da obbligazioni garantite da mutui ipotecari con scadenze superiori ai 10 anni.

Quando Silvergate ha dovuto dismettere le proprie partecipazioni obbligazionarie per far fronte alle pressanti richieste di prelievo, il valore dei titoli aveva già subito perdite per 1 miliardo di dollari.

Il precipitare degli eventi e le condizioni di mercato si sono combinate per determinare il tracollo finanziario a cui stiamo assistendo in questi giorni. Moody ha declassato il valore del titolo in borsa proprio per questo motivo e oggi, il prezzo delle azioni registra una perdita del 94.93% in un anno.

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