Il mistero di Satoshi Nakamoto: quando la prova crittografica diventa l’unico giudice della verità

Aniello Raul Barone
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Uno dei misteri più intriganti del nuovo millennio, la reale identità della persona che ha concepito e realizzato Bitcoin, persiste ancora.

La storia “ufficiale” di Satoshi Nakamoto e di Bitcoin


L’architetto di Bitcoin e pioniere della blockchain ha un nome, Satoshi Nakamoto, e secondo la storia ufficiale sarebbe nato in Giappone il 5 aprile del 1975. Satoshi Nakamoto ha pubblicato il protocollo di Bitcoin nel 2008, sul sito mezdowd.com, e l’anno successivo, nel 2009, ha distribuito la prima versione del software client.

A partire da quel momento, Nakamoto ha continuato a contribuire al progetto insieme ad altri sviluppatori, ma sempre in forma anonima.

L’eredità di Satoshi


Nel 2011, Satoshi Nakamoto comunicò di aver lasciato Bitcoin nelle mani di Gavin Andresen, un abile sviluppatore di software, e di essere passato ad altri progetti.

Nella sua ultima comunicazione, si dichiarava convinto di lasciare Bitcoin in buone mani. Da allora fino a oggi, Satoshi Nakamoto non ha più dato notizie di sé o delle sue attività, né è stato possibile in alcun modo risalire alla sua persona.

Questo ha dato origine a un mistero che è cresciuto sempre di più nel corso degli anni, generando una serie di teorie che però sono state puntualmente confutate.

Negli ultimi tredici anni, infatti, molti hanno rivendicato la sua identità, senza mai convincere del tutto la comunità. Oggi sembra che solo solide prove crittografiche possano convalidare tali affermazioni, e questo rende la ricerca del vero Satoshi una sfida sempre più ardua.

Una corte di pretendenti


Nel corso degli anni, molte persone hanno affermato di essere la mente geniale dietro la creazione di Bitcoin, e ognuna di esse ha fornito la propria storia.

Tra questi c’è Craig Steven Wright, un australiano che si è lanciato in una battaglia legale contro la Crypto Open Patent Alliance (COPA), sostenendo a gran voce di essere Satoshi.
Per dimostrare quanto affermato, Craig Wright ha fornito come prova un messaggio firmato con la chiave crittografica privata associata alla prima transazione di Bitcoin.

La firma, però, non è stata ritenuta una prova definitiva, perché era inscritta nel secondo blocco della catena appena creata, invece che nel primo.

Con le sue storie e le sue testimonianze, Wright ha tentato di ritagliarsi un posto nella storia di Bitcoin ma, sebbene abbia fornito una prova crittografica, non ha mostrato quella indiscutibile che la comunità richiede.

Particolare della statua di Satoshi Nakamoto, a Budapest – Fonte: Elekes Andor

In altri casi l’identità di Satoshi Nakamoto sarebbe stata attribuita a potenziali “candidati” ideali, tra questi il crittografo Michael Clear, lo sviluppatore finlandese Martii Malmi, il creatore di MtGox Jed McCaleb e perfino Elon Musk.

Così com’è accaduto per Craig Steven Wright, però, anche tutte le altre teorie sono state smentite e le persone che si sono viste attribuire l’identità di Satoshi Nakamoto hanno tutte negato con fermezza.

In effetti, l’asticella per dimostrare l’identità di Satoshi è molto alta: per farlo bisognerebbe spostare i Bitcoin estratti nei primi giorni o firmare un messaggio con le chiavi private di Nakamoto.

In questo caso le prove sarebbero inconfutabili, perché queste azioni richiederebbero una indiscutibile conoscenza e capacità di accesso alle fondamenta stesse di Bitcoin.

Il circo mediatico


La saga dei pretendenti all’identità di Satoshi (in tutto, circa una dozzina di persone hanno affermato di essere il genio dietro Bitcoin), in molte occasioni si è trasformata in un circo mediatico, il che ha generato un crescente scetticismo all’interno della comunità.

Questo scetticismo è in parte alimentato dal modo in cui queste persone hanno scelto di rivelarsi. Satoshi Nakamoto è sempre stato discreto per natura, in netto contrasto con le “rivelazioni” di chi sostiene di essere Satoshi Nakamoto; perché avrebbe dovuto costruire un tale anonimato per poi rivelare tutto, un giorno, in modo così prosaico?

La sfida per il vero Satoshi, se mai decidesse di emergere dall’ombra, sarebbe quindi colossale, di fronte a una comunità che è diventata sospettosa e, siamo onesti, comincia a stancarsi di queste incessanti affermazioni.

La ricerca di prove sull’identità di Satoshi Nakamoto, però, ha messo in evidenza un principio fondamentale della crittografia: la verità si basa su prove crittografiche solide, lontane da proclami e battaglie legali.

Che cos’è la prova crittografica?


Per dirlo in parole semplici, una prova crittografica non è altro che un metodo che utilizza i principi della crittografia per verificare l’autenticità di un’affermazione senza rivelare informazioni sensibili.

Immaginate una serratura digitale che solo il vero Satoshi può aprire con la sua chiave unica. Se qualcuno afferma di essere Satoshi, dovrebbe essere in grado di aprire quella serratura senza alcuno sforzo.

Nel contesto di Bitcoin, questo “lucchetto” potrebbe essere un wallet Bitcoin molto vecchio oppure un messaggio firmato secondo una modalità possibile soltanto alla chiave privata di Satoshi.

In questo campo, dove l’anonimato e la fiducia la fanno da padrone, le chiavi crittografiche rimangono gli unici giudici indiscutibili della verità.

Il mistero di Satoshi Nakamoto continua a ricordare alla comunità crittografica l’importanza di questi principi, in un mondo in cui la vera identità può essere dimostrata solo dalla scienza alla base del bitcoin stesso.

 

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