BlockFi dichiara bancarotta e richiede il Chapter 11. Continua l’effetto domino di FTX

Gli avvenimenti che hanno portato alla bancarotta di BlockFi hanno radici profonde e legate a quanto avvenuto non solo nelle ultime settimane. Ripercoriamoli insieme.

L’antefatto…

Lo scorso anno Binance, uno dei principali exchange al mondo, ha liquidato la propria quota di partecipazione in FTX per 2,1 miliardi di dollari. Gli analisti attribuirono questa scelta alla differenza di vedute tra i fondatori delle due exchange: Bankman-Fried di FTX e Changpeng Zhao (CZ) di Binance, i quali seguono diverse filosofie circa la regolamentazione delle criptovalute.

Nonostante l’annuncio su Twitter deI fondatore di Binance, CZ, avesse l’intenzione di ridurre l’impatto sul mercato ha sortito l’effetto opposto causando un calo nel valore del token di FTX che, in poco tempo, ha visto sfumare il 90% del suo valore di scambio. La notizia ha poi innescato il panico nei clienti che ha generato una spasmodica corsa ai prelievi culminata nell’insolvenza di FTX.

Il timore della fusione

FTX, che nel giro di tre anni dalla sua nascita era arrivato a contare su oltre un milione di clienti è crollato causando il caos nel mercato delle crypto. FTX ha bloccato i prelievi dei suoi clienti soltanto un giorno prima del crollo ufficiale, nonostante la sua incapacità di liquidare il token fosse precedente a quella data. Non si è trattata quindi di una “morte annunciata” e questo ha causato reazioni postume all’interno della comunità delle criptovalute. 

La preoccupazione principale ha riguardato una possibile fusione tra Binance e FTX allo scopo di salvare quest’ultima dalla bancarotta; fusione che avrebbe portato alla creazione dell’excchange più grande e potente al mondo, minacciando di fatto la filosofia e della decentralizzazione e della distribuzione uniforme che rappresentano i pilastri su cui si fondano le criptovalute.

Le prime conseguenze del crollo: la caduta di BlockFi

Appare chiaro, quindi, come il crollo di FTX abbia generato un’onda d’urto le cui conseguenze non sono terminate. Una delle prime tessere a cadere in questo effetto domino innescato dal crollo FTX è proprio la famosa piattaforma di lending BlockFi, che ha ufficialmente richiesto alla United States Bankruptcy Court l’applicazione del famigerato Chapter 11.


In questo caso però, a differenza di FTX, il principale capitolo normativo della legge fallimentare vigente negli Stati Uniti d’America invocato da BlockFi permette a quest’ultima, qualora le circostanze lo rendano possibile, di evitare la totale liquidazione avviando un potenziale processo di ristrutturazione volto a riportare a galla l’azienda sotto una nuova gestione ed evitando così ulteriori danni ai propri clienti.

La situazione di BlockFi


Purtroppo il reale scenario di BlockFi è  diverso dalle speranze che l’invocazione del Chapter 11 lascerebbe nutrire. Tanto per cominciare la dinamica di fallimento di BlockFi è stata tristemente analoga a quella di FTX.  BlockFi, infatti, era consapevole della propria incapacità di garantire i prelievi ai propri clienti già a partire dall’11 novembre, ma tre giorni dopo, il 14 novembre, l’azienda dichiarava ancora di possedere la liquidità necessaria per andare avanti. Questo lascia pochi dubbi sul fatto che la piattaforma BlockFi abbia mentito circa la situazione, proprio come è capitato con FTX. 


Il futuro delle due piattaforme


Le previsioni sul futuro di FTX non sono comunque rosee e lo stesso vale anche per BlockFi purtroppo. La maggior parte delle agenzie di cambio che si sono trovate nella stessa situazione e hanno fatto appello alla normativa per la ristrutturazione aziendale, infatti, sono finite in liquidazione. L’alternativa possibile è invece rappresentata dall’applicazione della normativa contenuta nel Chapter 7, che consiste nella cessazione delle attività e nella liquidazione degli asset da parte di una entità esterna, un trustee nominato specificamente allo scopo di controllare che il processo di liquidazione avvenga in modo trasparente e legale e che il ricavato sia distribuito ai creditori della società, che al momento ammontano a più di centomila.


Nonostante BlockFi abbia reso pubblico uno statement in cui dichiara l’intento di ristrutturare la società grazie alla disponibilità di un capitale di 247 milioni di dollari, questo scenario è ben lontano dall’essere attuabile perché di fatto la cessazione delle attività è già in essere e la società non sta producendo alcun reddito o profitto.

L’unica cosa che potrebbe salvare la BlockFi, al momento, sarebbe l’intervento di uno o più finanziatori al fine di coprire il passivo nel bilancio e far ripartire la piattaforma. Questa possibilità, però, suscita gli stessi timori sollevati dal salvataggio di FTX da parte di Binance. Tutto quello che possiamo fare, al momento, è assistere con attenzione allo svolgersi degli eventi.
 


 

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