Leggenda del trading avverte: Tether è sull’orlo del baratro!

Laura Di Maria
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La storia di Tether è costellata di episodi che tentano di minarne la credibilità. Eppure, la prima stablecoin ancorata al dollaro per valore di mercato continua a resistere e a evolvere il proprio ecosistema.

Di recente si sono aggiunte nuove accuse di corruzione nei confronti della società emittente di Tether (USDT). Non manca chi insinua che la compagnia possa essere in lizza per diventare la prossima FTX. Le gravi accuse sono state mosse da una leggenda del trading e noto esperto di mercati Peter Brandt.

L’analista ha condiviso la sua opinione su X, ex Twitter, dove ha spiegato perché, secondo lui, la nota stablecoin si starebbe dirigendo dritta verso la catastrofe.

Ci sono segnali evidenti che Tether potrebbe essere in serio pericolo


In particolare, le preoccupazioni di Brandt si allineano a quelle manifestate dall’organizzazione non-profit Consumers’ Research. L’associazione ha condotto un’attiva campagna contro l’emittente di USDT, accusato di rappresentare una minaccia per i consumatori.

Brandt sembra essere d’accordo con le opinioni espresse dall’associazione e condivise con un post pubblicato il 19 giugno.

Infatti, il leggendario trader ha spiegato come da anni sostenga che Tether si stia dirigendo “alla fine verso il disastro”. Ha spiegato che il dollaro statunitense (USD) “incontrerà alla fine la sua rovina”, ma solo anni dopo che Tether avrà subito la stessa situazione. Lo ha spiegato in dettaglio nel suo recente post.

Di cosa sarebbe colpevole Tether?


L’organizzazione Consumers’ Research ha commissionato la comparsa di un cartellone pubblicitario digitale a Times Square, a New York, dove campeggiava la scritta “Tether verso la corruzione”.

Il CEO di Consumers’ Research, Wild Hild, ha spiegato poi in un comunicato stampa successivo alcuni dei dati emersi nell’indagine condotta nei confronti di Tether. L’emittente della stablecoin avrebbe avuto contatti ravvicinati con FTX poco prima del rocambolesco crollo dell’exchange a novembre del 2022.

Secondo Hild: “Stiamo mettendo in luce le pratiche commerciali sospette di Tether, a partire dal rifiuto di effettuare una revisione contabile che dura da oltre dieci anni e l’uso sistematico dell’asset da parte di terroristi, trafficanti di droga e di esseri umani. Viste tali evidenze e segnali d’allarme, temiamo che Tether possa benissimo essere il prossimo FTX. I consumatori dovrebbero diffidare da qualsiasi cosiddetta stablecoin che rifiuta di certificare con regolarità di detenere di fatto gli asset che afferma di possedere”.

Più di recente, nel post citato da Brandt, l’organizzazione non-profit ha sostenuto che “il futuro potrebbe essere rappresentato dalle stablecoin, ma non dovrebbe esserci Tether”. Ha spiegato che la società ha “ingannato il mercato riguardo al suo supporto statunitense, ha ricevuto un rating di rischio elevato 4/5 da S&P, (…) e ha rifiutato di sottoporsi a una rigorosa revisione finanziaria indipendente”.

Tether perderà l’ancoraggio col dollaro USA?


La campagna condotta finora contro Tether non sembra aver avuto effetto su USDT che continua a mantenere stabile il proprio ancoraggio al dollaro USA.

Nonostante queste accuse e la campagna multimilionaria lanciata da Consumers’ Research USDT regge. Solo il tempo dirà quanto a lungo l’ancoraggio potrà resistere, non è la prima volta che la società riceve accuse dirette sulla sua presunta mancanza di collaterale a garanzia del valore 1:1 di USDT nei confronti del dollaro USA.

Finora la storia recente ha insegnato che queste stablecoin tendono a perdere velocemente valore quando le società emittenti perdono credibilità o devono affrontare controversie legali. Il caso più eclatante resta quello di Terraform Labs e del suo token UST, anche se le circostanze erano diverse.

Nel caso del crollo della stablecoin algoritmica LUNA/UST a maggio 2022, l’accusa è che l’intero impianto fosse stato montato con intento fraudolento. In seguito, si è registrata anche la perdita di ancoraggio 1:1 di USD Coin (USDC) di Circle a marzo 2023, quella volta per via dell’esposizione per 3,3 miliardi di dollari nei confronti del fallimento della Silicon Valley Bank (SVB).

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